HOME

RIPRODUZIONI

CARTOLINE


EVENTI   STORICI

GUIDE  TURISTICHE

LIBRI

STAMPE

QUADRI

FOTOGRAFIE

PEGLIESE CALCIO


SITI  AMICI

HOME PORTALE

Quadri di Pegli di Luigi Garibbo stemma
 


Acquarello della prima metà dell'800 ora ubicato al Museo di Sant'Agostino. Tratto dal libro di Erio Panarari "Vecchia Pegli e Villa Pallavicini". Non è facile oggi individuare la posizione del Giardino Doria, ritratta dal pittore Garibbo, anche se riteniamo che la veduta riguardi il giardino (ora scomparso) retrostante il cosiddetto "Casotto alla Marina" (attuale civ. n. 47 del Lungomare), che si univa con un viale al palazzo padronale di villa Doria. La situazione non è oggi più documentabile, perchè il tutto è andato completamente distrutto dalla più recente edificazione intensiva. Rimane tuttavia certo che ai tempi del Garibbo esisteva ancora il giardino che univa le due costruzioni, come già documentava nel 1773 la pianta di Vinzoni.





Acquarello della prima metà dell'800 ora ubicato al Museo di Sant'Agostino. Tratto dal libro di Erio Panarari "Vecchia Pegli e Villa Pallavicini". Ritrae il laghetto di Villa Doria con al centro l'isolotto-grotta, creato da Galeazzo Alessi intorno alla metà del '500.





Acquarello della prima metà dell'800 ora ubicato al Museo di Sant'Agostino. Tratto dal libro di Erio Panarari "Vecchia Pegli e Villa Pallavicini". Ritrae l'ambiente retrostante il Palazzo di Villa Doria, con il Torrione difensivo tuttora esistente.




Acquarello della prima metà dell'800 ora ubicato al Museo di Sant'Agostino. Trovato nell'web. Ritrae l'oggi distrutta Villa Gavotti a Multedo.

Olio su tela della Villa Lomellini (ora Banfi), attualmente è ubicato nella sala "Pegli Picta" del Museo Navale di Villa Doria.

GARIBBO, Luigi. - Nacque a Genova nel 1782; nel 1802 si iscrisse all'Accademia ligustica di belle arti. Si dedicò, in particolare, alla tecnica dell'incisione su rame. La sua produzione figurativa è legata inizialmente al vedutismo analitico di matrice settecentesca, ma egli raggiunse notorietà e popolarità grazie alla rappresentazione di eventi contemporanei documentati anticonvenzionalmente, in presa diretta. La Veduta della riva dritta del porto di Genova durante la burrasca memorabile del 25 dicembre del 1821 e la Veduta del ponte della Pila sul Bisagno presso alle mura di Genova, poco dopo il suo diroccamento per la gran piena del 26 ottobre del 1822, diffuse in città come incisioni, promossero il rigore prospettico e gli interessi storici oggettivi del G., che dedicò entrambi i lavori "a Sua Eccellenza il Sig.r Marchese d'Yenne", "Governatore e Comandante Generale del Ducato di Genova" (Genova, Museo di S. Agostino, Archivio topografico del Comune, dove sono conservati la maggior parte dei lavori dell'artista).Una certa povertà di mezzi - il bulino, la tecnica ad acqua e, meno frequentemente, l'olio - evidenzia ancora meglio l'elaborata preparazione che, per studiare dal vero la vecchia Genova e farla rivivere, tende a smorzare le esigenze della fantasia e i contrasti di luce e di colore, pur efficaci in incisioni a seppia come la Veduta della città di Genova presa dalla base della Lanterna e la Veduta del porto di Genova, presa dal campanile della metropolitana (Ibid.). Nel 1833 il G. si trasferì a Firenze, dove continuò l'attività documentaria e dove iniziò a interessarsi alle tecniche fotografiche. Dei "nuovi trovati della fotogenia" contemporanea scrisse nel giugno 1853 sulle pagine del giornale fiorentino La Speranza (Alizeri, p. 470), proponendo perfezionamenti alla camera chiara che egli stesso adoperò per alcuni suoi lavori. Nelle riprese "scientifiche", che derivò dalla tradizione del vedutismo settecentesco veneto, il G. teorizzò un cannocchiale "armato di camera lucida", per disegnare soggetti distanti anche "circa 9 miglia in retta linea", come annotò alla base del Monte Senario visto da casa mia in Borgo degli Albizzi (Genova, Archivio topografico del Comune). Il procedimento della camera lucida o camera chiara, ideato nel 1812, si avvale di un apparecchio al cui vertice si trova un prisma che permette di vedere il soggetto da ritrarre contemporaneamente al supporto su cui disegnarne i contorni "proiettati". Tale apparecchio venne impiegato dal G. già nel 1833 quando, a margine di una Veduta della chiesa di S. Salvatore al Monte di Firenze (Ibid.), trascrisse le note di lavoro: "eseguito coll'occhio sul prisma, ed altro non gli manca che di essere determinato precisamente, più dettagliato (comportandolo il cannocchiale) e meglio accordato". Anche nella Veduta della torre del Gallo in Arcetri ove dimorò Galileo e della villa… dalla mia finestra in Borgo degli Albizzi (Ibid.), datata 18 sett. 1833, "alle ore 10 di mattina", il G. confronta l'immagine ravvicinata con lo stesso scorcio ripreso attraverso la "camera lucida solamente", dove gli elementi della rappresentazione si confondono in un piccolo paesaggio. A Firenze il G. realizzò, "dentro un casino in Borgo Ognissanti", il suo progetto di un Panorama di Napoli, cioè una veduta dipinta a tempera sulle pareti di una camera circolare che offriva, attraverso un sistema particolare di lenti e di luci, un'illusoria e realistica riproduzione della città. Tentò di replicare tale "smisurato lavoro dove l'arte del prospettico si mescolava ai computi della meccanica e alle finezze dell'ottica" (Alizeri, p. 470) con il Panorama di Firenze, di cui realizzò soltanto progetti parziali (Firenze, Uffizi, Gabinetto dei disegni) e una prova di proporzioni ridotte, successivamente incisa e diffusa sul mercato. Il viaggio a Napoli, documentato dal Cratere del Vesuvio addì 8 settembre 1844 (Genova, Archivio topografico del Comune), quelli a Roma e in Toscana, come la permanenza a Firenze durante gli ultimi decenni della sua vita, registrano altre rappresentazioni "tipiche" del paesaggio di quelle città e dei loro dintorni. La maggior parte delle opere del G., tuttavia, fu dedicata a Genova. Anche in questo caso, il diario di lavoro dell'artista traccia veritiere e scenografiche vedute di quartieri, che saranno trasformati nella seconda metà dell'Ottocento. Il valore "fotografico" di queste vedute, reso maggiormente vivo dal contemporaneo D.P. Cambiaso, risiede sì nella "salvaguardia dell'immagine dei luoghi visitati e visitabili" (Bruno, p. 13), ma soprattutto nella conservazione della memoria del tempo. Come ricorda Alizeri, "se alcun luogo o monumento si trasformava o cedeva d'innanzi alle novità, […] egli non avea pace finché in disegno o in colore non ci serbasse l'apparenza del vecchio" (p. 470). Diversi acquerelli del G. - tra i quali Strada e bastioni di S. Teodoro, Genova dal giardino del principe D'Oria, Palazzo Pallavicini detto delle Peschiere, Antica porta e bastioni dell'Acquasola, Ponte di Carignano e Rovine dell'antica chiesa di S. Domenico (Genova, Archivio topografico del Comune) - permettono di ricostruire contesti paesaggistici, urbani e architettonici del capoluogo ligure. Dal 1855 al 1867 il G. partecipò alle esposizioni annuali organizzate dalla Società promotrice di belle arti di Genova, mentre il 13 febbr. 1859 venne insignito del titolo di accademico di merito. Il riconoscimento per le benemerenze artistiche del G. era stato inizialmente proposto da Maurizio Dufour, animatore della vita genovese nel campo delle arti, al quale si devono anche le più importanti vendite realizzate dal vedutista in patria. Nel 1868 il G. donò alla sua città l'Album artistico ossia raccolta di acquerelli, disegni, abbozzi, schizzi e studj fatti sul vero… (Ibid.).I cento fogli numerati di cui si compone la raccolta costituiscono una documentazione, oltreché della sua perizia, di un modo di intendere il rapporto tra arte e dimensione urbana. Vi emerge "lo stile de' suoi dipinti […] cotale che più vi si paia il prospettico che il colorista; luce schietta e diffusa, niun contrasto di toni, niun prestigio di tinte: cura di linee, gradazioni giuste ne' terreni e ne' cieli" (Alizeri, p. 471). Colpito da cecità, il G. morì a Firenze, in solitudine e miseria, il 12 genn. 1869. (Tratto dall' Enciclopedia Treccani).